Claudio Sabelli Fioretti insieme alla troupe di Radio3 sulle vie etrusche, Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci

sabato 22 settembre 2007

QUINTO GIORNO: VULCI
"QUINTO GIORNO IN PRETURA"

Luciano Bonaparte, il fratello di Napoleone, alla fine della sua vita avventurosa, venne a vivere in Italia, nello Stato Pontificio. Il Papa lo aveva fatto principe di Canino. Lui, oltre che una casa in Maremma aveva anche una casa a Senigallia. Era stato molto ricco ma ormai non se la passava più tanto bene a causa di un paio di investimenti andati male. Così rispose positivamente quando la sua seconda moglie Alexandrine, gli scrisse da Canino a Senigallia che molti in Maremma facevano un sacco di soldi scavando tombe e vendendo i corredi funerari. Luciano Bonaparte, che aveva dodici figli da mantenere, tornò subito a casa, mise insieme una squadra di un centinaio di operai e divenne uno dei più attivi "tombaroli" della zona. Luciano Bonaparte era una persona innamorata del mondo etrusco e si comportava con rispetto e passione per tutto ciò che trovava. Alla sua morte la moglie Alexandrine non ebbe la stessa sensibilità e fece degli sfracelli. Sembra addirittura che in ogni tomba scegliesse il meglio e distruggesse il resto per tenere alti i prezzi. Insieme a Lorenzo Sganzini siamo andati a vedere la tomba di Luciano, nella chiesa principale di Canino, e quella di Alexandrine. Fuori, sulla piazza, da un paio di anni c'è anche un monumento al fratello di Napoleone. C'è scritto: "Amò la libertà, le lettere, la terra di Tuscia ove riposa".

La terra di Tuscia è quella dei comuni di Canino e di Montalto di Castro. Ma anticamente era la città di Vulci, industriale, artigianale, commerciale. Noi siamo stati in quella che oggi si chiamerebbe "zona artigianale". Abbiamo visto una serie di fornaci e soprattutto le altissime mura della prima cinta della città, appena accanto al fiume Fiora e ad un ponte ormai crollato. Abbiamo visto anche la famosissima Cuccumella, la tomba con il tumulo più grande di tutta l'Etruria, con i suoi 75 metri di diametro. La Cuccumella è anche la prova che un'archeologia forsennata può anche fare un sacco di danni. Prima che fosse restaurata (molto bene) era stata ridotta ad una specie di campo di motocross e, alla ricerca di un inesistente tesoro, era stata tutta bucherellata dai vari ricercatori che si erano succeduti. Accanto alle due tombe etrusche adesso sotto il tumulo è tutto un labirinto di gallerie scavate nella roccia che la fanno sembrare una miniera.

C'era anche un altro studioso e archeologo, nell'Ottocento, che girava per la zona di Vulci, un fiorentino, Alessandro François. Era demoralizzato perché a fronte dei successi di altri come Bonaparte, lui non aveva trovato ancora una sua tomba. Poi un giorno si imbatte in quella che oggi viene chiamata "tomba François". Una tomba contenente dei dipinti bellissimi raffiguranti i miti degli eroi greci e anche l'eroe locale Mastarna che sarebbe poi diventato il sesto re di Roma, Servio Tullio. Affreschi stupendi. Noi siamo entrati nella tomba ma i due affreschi non li abbiamo visti. Da 150 anni sono nell'abitazione dei principi Torlonia che con grande senso della proprietà e disprezzo per il carattere universale dell'arte, li "strapparono" in maniera un po' avventurosa letteralmente segandoli e portandoli nel salotto di villa Albani. Solo qualche anno fa, in cambio di un costosissimo restauro, hanno consentito che uscissero e potessero essere visti da tutti quelli che lo volevano in due mostre, la prima in Germania e la seconda nel Castello della Badia, oggi museo che contiene molti reperti delle tombe di Vulci. Usciranno definitivamente da casa Torlonia per essere restituiti al mondo che dovrebbe essere detentore morale del diritto di poter usufruire dei grandi capolavori? Forse, se lo Stato italiano accetterà di pagare i 15 miliardi di lire richiesti.

E così è finito il nostro giro per l'Etruria. Il viaggio sarà continuato da Sergio Valzania, direttore di Radio2 e Radio3, e da Bruno Manfellotto, direttore del Tirreno. All'ultimo abbiamo fatto uno scherzo a Giuseppe Della Fina, professore di Archeologia che ci ha accompagnato in questi cinque giorni. Gli abbiamo fatto trovare, davanti alla tomba della Cuccumella, una moneta di bronzo che avevo comprato in una bancarella per due euro. Ha avuto un piccolissimo sussulto, quando l'ha raccolta. Ma è durato un nanosecondo. Il nostro uomo è preparato e non si è fatto ingannare.

Riascolta la quinta puntata.

giovedì 20 settembre 2007

QUARTO GIORNO: TARQUINIA

Ci sono circa 200 tombe etrusche dipinte nel sottosuolo di Tarquinia. Una enormità. E pensate che sono solo il 3 per cento di tutte le tombe delle varie necropoli di Tarquinia. Oggi ne abbiamo visitate una mezza dozzina, da quella fantastica della caccia e della pesca che riempie il cuore di serenità, a quella inquietante dei demoni azzurri, una delle ultime scavate, con la prima scena della discesa negli inferi trovata in una tomba etrusca. Una scena angosciante, con i demoni che spaventano la donna morta che non ne vuole sapere di salire sulla barca di Caronte e con un piccolo demonietto orrendo che la spinge. Abbiamo cominciato il nostro itinerario dal Museo. Conoscevo già i cavalli alati, ma rivederli è stata un'emozione. I cavalli alati, trovati nel '38 un po' a pezzi sotto il tempio della Dea Regina nella Civita, quello che resta dell'antica città di Tarquinia, sono un incrocio tra un bassorilievo e una scultura a tutto tondo. Hanno una leggerezza incredibile e sembrano sul punto di spiccare il volo. Rimani incantato a guardarli e quando ti volti pensi che se ti rivolti di nuovo non li trovi più. Siamo andati, io, Lorenzo e tutta la troupe di Radio3, a vedere il famoso tempio. Abituati a vedere fondazioni senza nulla sopra, siamo rimasti meravigliati nel vedere questo grandissimo tempio, che non si sa a chi fosse dedicato, con molti gradoni fuori terra. I tarquinesi lo chiamavano anche la piramide perché effettivamente sembra la base di una grossa piramide. La pianta è ortogonale ma nell'angolo a sinistra c'è la base di una costruzione (un altare? Un tempietto?) che non rispetta l'allineamento del santuario. Come mai? Gli archeologi si chiedono da tempo perché. Una spiegazione se la sono anche data. Evidentemente la piccola costruzione era di epoca precedente, era qualcosa di sacro e di venerato, e questa venerazione era molto importante. Quindi…quindi non poteva essere la testimonianza del grande Tarconte, il figlio di Tirreno, il primo lidio arrivato nel centro Italia dall'odierna Turchia a fondare la cultura e il potere estrusco? Tarconte, un mito, il fondatore di Tarquinia. Altre prove? Non ce ne sono. Ma la dottoressa Maria Cataldi, direttrice del Museo di Tarquinia ricorda Stendhal il quale diceva che gli archeologi dicono cose fondate su suggestioni, poi le dicono un'altra volta, poi ancora. Alla terza volta la suggestione è verità.
Poi abbiamo assistito ad un delitto. La storia è quella di un omicidio. La storia di un colono eubeo che si era spinto nel Tirreno fino in acque etrusche con la sua piccola nave ed era stato intercettato da navi di tarquiniesi. Era stato ferito con un ascia sul cranio, non era morto, ed era stato trasportato moribondo in città. Era stato tenuto prigioniero per quaranta giorni poi era stato ucciso con un colpo sulla tempia destra in modo rituale. Un sacrificio. L'ho chiamato il delitto Beta perché è avvenuto nel settore Beta degli scavi che siamo andati a visitare. Abbiamo visto le fondamenta di una piccola costruzione evidentemente adibita a sacrifici umani, siamo passati sopra i muri dove sono stati trovati gli scheletri di bambini sacrificati, uno dei quali con un colpo che gli ha staccato la testa. Ci hanno mostrato il canale di scolo del sangue. E il posto dove è stato trovato il corpo di un giovinetto malato di epilessia che veniva probabilmente considerato tramite fra il terreno e il divino. Una zona, il settore Beta, dove ragazzi dell'università di Milano scavavano tranquillamente. Noi qualche brivido lo abbiamo provato pensando quello che succedeva in quel posto solo ieri, 2800 anni fa.
E poi le tombe, dove ho fatto una scoperta sensazionale. O gli etruschi copiavano da Altan oppure Altan ha copiato dagli etruschi. Propendo per la seconda ipotesi. Gli omini di Altan, i suoi Cipputi e gli altri operai, sono identici, ma proprio identici, ad alcune figure che ho visto in alcune tombe, stessa corporeità, stessi gesti, perfino stessi balli. Checco, se mi leggi, mandami una spiegazione. Ultima visita in una cava di calcare dove venivano segati e prelevati i grossi blocchi per costruire tombe e case. Una delle tante cave che corrono sotto il suolo di Tarquinia. Una cava enorme, altissima, profondissima, simile a una cattedrale del sottosuolo, che una volta esaurita è servita come luogo per coltivare champignon, per conservare il vino e oggi è luogo di abitazione per una fitta colonia di pipistrelli. Domani ultimo giorno di viaggio in Etruria, per quanto riguarda me e Lorenzo. Vulci con la sua famosissima tomba François.

Riascolta la quarta puntata.

mercoledì 19 settembre 2007

TERZO GIORNO: BANDITACCIA E PYRGI

Sulla via degli inferi, tra pini marittimi e cipressi, ci aggiriamo fra le mille tombe della necropoli della banditaccia di Cerveteri. Lo spettacolo è di quelli che si possono dimenticare difficilmente. A pochi chilometri da Roma esiste un parco archeologico unico al mondo. La cosmopolita, internazionale, sofisticata, colta e artistica Ceri scelse di circondarsi dei suoi morti seppellendoli sotto monumentali tombe visibili dalla città per non dimenticarli mai. Visitiamo la tomba dei rilievi, quella delle cinque sedie, quella dei capitelli. Vedo anche una tomba che assomiglia in maniera clamorosa al mausoleo di Arcore. Mi chiedo: ha copiato Berlusconi o hanno copiato gli etruschi? Viaggiamo sul trenino elettrico lungo viali incredibilmente affascinanti. Ci accompagna la sovrintendente Anna Maria Moretti, figlia di archeologi, nipote di archeologi. Una delle tombe si chiama Tomba Moretti. Visitare le tombe fa capire come vivevano gli etruschi perché le tombe spesso ricalcano nell'architettura le case e nel corredo funerario ci sono tutti gli arnesi e tutti gli oggetti che accompagnavano la loro vita. Nel collegamento con Radio3, che eccezionalmente facciamo alle 18 dalla piazza Mazzini di Tarquinia, all'aperto, gioco con il mio partner Lorenzo Sganzini, direttore della rete culturale della radio svizzera italiana, contando fino a dieci in etrusco, tun, zal, ci, hub, mac, sa, semf, cezp, nuzf, sar. Credo di sorprenderlo e invece lui mi risponde con una frase in etrusco. Mi raccontano che il grande capo del commercio clandestino dell'arte etrusca si chiamava Giacomo Mancini, ma l'hanno inchiodato qualche anno fa e adesso vive – dicono – a Santa Marinella. Faceva un lavoro illegale ma Ercole, l'assistente agli scavi in pensione che abbiamo conosciuto ieri, ricorda che era un vero amante dell'arte etrusca, che quando gli portavano qualche oggetto, si commuoveva, tremava, sudava tutto. Dopo la Banditaccia andiamo a Pyrgi, uno dei tre porti di Ceri, dove ci aspetta Giovanni Colonna, l'allievo di Massimo Pallottino, oggi considerato uno dei grandi dell'etruscologia. Colonna da decine di anni si occupa degli scavi dei templi di Pyrgi, quasi dall'inizio quando il vomere di un aratro di un contadino cominciò a sconvolgere le fondamenta delle costruzioni etrusche consentendo di accorgersi che sotto quella vigna si nascondevano dei veri tesori. Tra i quali le lamine d'oro con iscrizione bilingue. Colonna si muove tra i grandi massi di tufo che delimitano gli ambienti dei templi, i muri e le strade come fosse a casa sua. Questo
è il tinello, questo il salotto, questi i servizi…Ogni tanto dice: "Qui ieri abbiamo trovato un'iscrizione, qui la settimana scorsa abbiamo trovato un vaso". Pyrgi sembra una miniera di reperti. Colonna ci fa anche vedere le venti stanze delle "prostitute sacre", le sacerdotesse dell'amore, le ierodule. Quando i siracusani saccheggiarono i templi si portarono via un sacco di soldi. Colonna ci racconta anche la storia dei soldati focei fatti prigionieri dagli etruschi alla battaglia navale del Mare Sardo, lapidati da queste parti, a Montetosto. Il luogo dove furono "sacrificati" era diventato un luogo maledetto. Chi ci passava diventava storpio, perdeva la vista, si ammalava e moriva. Consultato l'oracolo di Delfi gli etruschi organizzarono dei giochi ginnici per cancellare la maledizione. E ci riuscirono. Oggi è finita a Pyrgi. Domani saremo a Tarquinia.

Riascolta la terza puntata.

martedì 18 settembre 2007

SECONDO GIORNO: CERVETERI

La maledizione del Lucumone ha colpito ancora. Dopo che ieri improvvisamente era scoppiato il finestrino posteriore sinistro del nostro pulmino, oggi, dopo cena, è scomparsa una parte del portellone posteriore. Un etrusco misterioso ci segue discretamente e ci punisce. Non è ancora come Tutankamen ma ci stiamo avviando. Oggi siamo a Cerveteri. Partiamo dalla Vigna Parrocchiale, luogo dove qualche anno fa è stato portato alla luce un tempio dedicato probabilmente ad Era, cioè a Giunone. Siamo nel baricentro della antica città. Si vedono in lontananza, fra gli olivi e le vigne, le tombe della necropoli della banditaccia. Una grande fossa, molto profonda, accanto al tempio indica da dove presero i blocchi di tufo per la costruzione del tempio. Il tutto è molto abbandonato, l'erba sta riprendendo il sopravvento, sul bordo, a un metro dal tempio, un contadino ha costruito una casetta. Nella visita ci accompagna Vincenzo Bellelli, professore di archeologia dell'università di Palermo. Ma ci accompagnano anche un paio di cani e di gattini simpaticissimi. Superiamo anche un tomba abbandonata diventata ovile per le capre. Il tempio è scavato solo per metà. L'altra metà è sotto una vigna e l'uva non si tocca. Accanto al tempio di Era, una costruzione a pianta ellittica a ferro di cavallo. Un teatro? Un luogo per l'attività politica? Ancora non si sa. Andiamo nella valle del Manganello dove ci sono degli scavi in corso. Ragazze e ragazzi, due olandesi, altri di Palermo e di Napoli, paletta e scopetta in mano, stanno portando alla luce un tempio probabilmente dedicato alla protezione del corpo. Dalla terra emergono, fra le fondamento oppure dentro pozzi profondi, ceramiche votive che rappresentano parti del corpo. Molte mani, molti piedi, orecchie, cistifellee, intestini, dita, organi sessuali maschili, uteri. Una immagine di due dee con tanti bambini attorno. Protezione delle nascite o sacerdozio infantile? Non si sa, per ora. Da un pozzo emerge un blocco di marmo con due lettere, la K e la Lambda. Ci aggiriamo dentro e fuori lo scavo e tra la terra anche noi diventiamo archeologi. Troviamo un naso, un occhio, un mento. Bellelli sequestra prontamente tutto ma ci lascia l'emozione e la soddisfazione del ritrovamento. Alle quattro gli archeologi staccheranno e alle sei, con molta probabilità, arriveranno i tombaroli a zappettare. Quando il momento è critico perché si prevede qualche ritrovamento, la notte viene assunto un poliziotto privato. Non si sa mai.
Ci accompagna anche Ercole, un anziano assistente di scavo oggi in pensione. Ha scavato qualcosa come 5 mila tombe. Ha trovato centinaia di oggetti. Alcuni bellissimi come la testa del giovane etrusco conservata al museo di Cerveteri. Quando visitiamo il museo ogni tanto ci dice: "Quello l'ho trovato io, anche quell'altro". Andiamo sulla collina di Sant'Antonio dove c'è il santuario dedicato (forse) ad Eracle. Qui trovarono il vaso di Eufonio, la più famosa coppa sacra del mondo. Alcuni tombaroli maldestri lo avevano fatto cadere da una rupe. Altri, più tardi, l'avevano recuperato pezzo per pezzo e l'avevano messo sul mercato clandestino a suon di milioni. Qui a Cerveteri quando la stagione del carciofo non è un granché – mi hanno detto – diventano tutti tombaroli, un po' come dalle parti mie sono tutti fungaroli. Ci affacciamo sul dirupo del vaso di Eufonio e vediamo la grande villa che fu di Laura Antonelli. L'aveva comprata quando ancora non sapeva che sotto il suo giardino c'erano due tombe etrusche. Per oggi è tutto. Domani la grande necropoli della Banditaccia e gli scavi di Pyrgi. (csf)

Riascolta la seconda puntata.

lunedì 17 settembre 2007

PRIMO GIORNO: VEIO
NELLA TOMBA DEI LEONI RUGGENTI

Prima giornata in Etruria. Insieme a Lorenzo Sganzini, direttore della rete culturale della Radio Svizzera Italiana, parto da Veio. Dovremmo andare a piedi ma in realtà ci spostiamo da un sito all'altro su un pulmino Ducato dell'Avis. Veniamo puniti perché dopo un'ora esplode il finestrino posteriore destro e dobbiamo cambiare mezzo. Pensiamo subito che sia l'ennesimo mistero etrusco e che magari ci sia una qualche maledizione che ignoriamo. Siamo appena usciti infatti dall'area sacra dedicata alla dea Menerva, dal tempio nel quale fu trovata un ottantina di anni fa la splendida statua in terracotta di Apollo. Dopo il santuario andiamo in località Campetti dove sono in corso gli scavi affidati al professor Carandini dell'università di Roma: una zona di acque e di culto. Insomma un centro benessere dove si pregava e si guariva. Gli studenti ci raccontano di un'iscrizione votiva in cui qualcuno ringraziava Ercole e le acque di averlo guarito dalla malaria. Qualche chilometro e siamo a Ponte Sodo, uno dei posti più romantici d'Italia, un torrente che entra in un tunnel di 70 metri scavato del tufo dai veientani più di 2500 anni fa. E poi l'Acropoli, i muri della cittadella, la tomba del fondatore, il primo piano regolatore del mondo. Accompagnati dalla direttrice del Museo etrusco di Villa Giulia Francesca Boitani e dal nostro esperto, l'etruscologo Giuseppe Della Fina, finiamo la giornata con un'emozione forte. Entriamo nell'ultima tomba scoperta in zona, una tomba incredibile, la più antica tomba etrusca dipinta, quattro leoni ruggenti e tante papere. Disegni colorati e bellissimi e la sensazione di vedere cose che nessuno, finora, può vedere. Una tomba scoperta dai carabinieri dopo che un tombarolo pentito ne aveva indicata l'ubicazione per ottenere dal tribunale una condanna più mite. Per oggi è tutto. Domani Cerveteri. (csf)

Riascolta la prima puntata.